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Legge Lorenzin: procedura cieca, consenso vuoto

di Redazione Playmastermovie

Quando nel 2017 la legge Lorenzin ha introdotto l’obbligo vaccinale per l’accesso scolastico, il dibattito pubblico si è acceso tra chi vedeva nella norma una tutela della salute collettiva e chi, invece, la interpretava come un’imposizione ideologica, svincolata da un’adeguata garanzia sul piano della responsabilità clinica. A sette anni di distanza, i nodi giuridici e medici di quella legge sono tutt’altro che risolti. Anzi, alcuni di essi sono diventati sistemici.

Il caso più emblematico riguarda l’assenza della prescrizione medica per l’inoculazione dei vaccini pediatrici obbligatori. Come riportato in un recente articolo pubblicato da Quotidiano Sociale, esiste una discrepanza palese tra quanto previsto dalla legge e quanto accade nella pratica sanitaria quotidiana.

La legge prevede la prescrizione, ma nessuno la richiede

I vaccini sono classificati, nei Riassunti delle Caratteristiche del Prodotto (RCP), come “medicinali soggetti a prescrizione medica”. La logica è chiara: ogni medicinale, anche se raccomandato o obbligatorio, dovrebbe essere prescritto da un medico che conosca il paziente, valuti le sue condizioni cliniche e informi i genitori dei rischi e benefici. Ma nella realtà dei centri vaccinali, nessuna ASL richiede tale prescrizione. I genitori si presentano all’appuntamento e firmano un modulo di consenso informato standardizzato, spesso senza alcun vero colloquio medico preliminare.

Il paradosso è evidente: nessun medico curante visita il bambino, valuta eventuali controindicazioni o si assume la responsabilità della somministrazione. Il pediatra di base, in genere, è escluso completamente dal processo. E il medico vaccinatore della ASL, che spesso non ha accesso alla cartella clinica completa, si limita a iniettare. Così, la responsabilità clinica resta sospesa tra due figure che, nella pratica, non hanno realmente valutato il caso.

Un consenso non informato è una delega di responsabilità

La situazione diventa ancora più critica se si considera il nodo del consenso informato. In teoria, è un atto giuridico e clinico imprescindibile. Ma può dirsi davvero “informato” un consenso firmato in pochi minuti, senza anamnesi completa, senza che il genitore abbia avuto il tempo o gli strumenti per comprendere la natura, la necessità e i possibili effetti collaterali del trattamento?

Secondo l’articolo 13 della Convenzione di Oviedo, nessun trattamento medico può essere imposto senza consenso libero e informato. L’obbligo giuridico non può e non deve cancellare il diritto alla conoscenza e alla valutazione clinica individuale. Eppure, con la legge Lorenzin, si è generato un cortocircuito: l’obbligo ha finito per sterilizzare ogni forma di discernimento medico personalizzato, trasformando un atto sanitario complesso in una procedura di massa anonima, standardizzata, e quindi vulnerabile.

Chi risponde, in caso di eventi avversi?

Il punto più delicato è proprio questo: chi si assume la responsabilità clinica e giuridica in caso di reazione avversa? Se nessun pediatra ha valutato il bambino, e se il medico vaccinatore ha operato senza una conoscenza reale del quadro anamnestico, la catena di responsabilità è spezzata. In casi simili, è lo Stato –

la ASL – a dover rispondere in sede legale, ma le famiglie devono affrontare percorsi giudiziari lunghi, costosi e spesso ostacolati da una narrativa pubblica che tende a minimizzare ogni effetto collaterale.
La catena della responsabilità è stata trasformata in un consenso silenzioso e cieco, che lascia i cittadini senza tutela effettiva.

La legge Lorenzin ha imposto una medicalizzazione di massa senza le garanzie minime del diritto sanitario. Ha escluso i pediatri, trasformato i genitori in passivi esecutori, e i medici vaccinatori in meri operatori tecnici. Ha creato una sanità dell’obbligo, senza responsabilità e senza coscienza.