Il 25 settembre 2025 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge n. 132 del 23 settembre 2025, la prima normativa italiana interamente dedicata all’intelligenza artificiale. Non era prevista in alcun programma elettorale, non è frutto di un dibattito pubblico, eppure eccola qui, entrata in vigore con sorprendente rapidità. La domanda sorge spontanea: perché una legge addirittura sull’Ai, e perché proprio adesso?
Il testo dedica tre articoli al mondo del lavoro, proclamando principi di tutela e trasparenza. Si afferma che l’intelligenza artificiale deve migliorare le condizioni dei lavoratori, rispettare la dignità, garantire la riservatezza dei dati. Si istituisce un Osservatorio nazionale per monitorare l’impatto delle nuove tecnologie e promuovere formazione.
Per le professioni intellettuali si chiarisce che l’Ai può essere usata solo come supporto, senza sostituire il lavoro umano. Tutto molto rassicurante, almeno sulla carta. Ma è proprio questa cornice di garanzie a rendere la legge ambigua. Perché legiferare così in fretta, con tanta enfasi, se non c’è stata alcuna pressione elettorale o sociale?
L’Italia non si limita a disciplinare l’uso dell’intelligenza artificiale
La sensazione è che anche questa volta, la politica non stia guidando un cambiamento, ma piuttosto eseguendo un’agenda dettata altrove: dalla solita Unione Europea, dai grandi attori tecnologici e dalle spinte economiche internazionali che vogliono accelerare l’adozione dell’Ai in ogni settore.
Così, dietro le dichiarazioni di principio, si intravede un altro scenario. L’Italia non si limita a disciplinare l’uso dell’intelligenza artificiale per contenere i rischi, ma la presenta come strumento da incentivare, come inevitabile alleato del lavoro e della produttività. Un’operazione che rischia di aprire la strada a processi di automazione e controllo senza che vi sia stato un vero confronto democratico.
Ecco allora il punto: questa legge non sembra nascere da un bisogno dei cittadini o dei lavoratori, ma da una pressione esterna che impone di allinearsi a un percorso già tracciato. La politica appare più spettatrice che protagonista, più esecutrice che decisionista.
Resta da chiedersi se, nei prossimi anni, l’intelligenza artificiale sarà davvero un mezzo per migliorare la qualità del lavoro o piuttosto l’ennesimo strumento di concentrazione del potere nelle mani di pochi.