Un segnale importante, atteso, incoraggiante. Invisibili non è stato solo un documentario, è stato un atto di verità. E oggi, grazie a una decisione storica del GIP del Tribunale di Civitavecchia, possiamo dirlo con forza: non siamo più invisibili.
Il giudice ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura e ha disposto il rinvio a giudizio per Giuseppe Brindisi e Pasquale Bacco, imputati per diffamazione aggravata a mezzo stampa. Una decisione che riconosce quanto accaduto non come semplice “critica”, ma come un attacco denigratorio e immotivato, che ha superato ogni limite del lecito.

Questa è una svolta. È il primo spiraglio di giustizia concreta dopo anni di silenzi, di delegittimazioni, di attacchi mediatici e personali contro chi, con coraggio, ha osato raccontare una verità scomoda.
Torniamo a quel 26 marzo 2023
Durante la trasmissione Zona Bianca in onda su Rete 4, condotta da Giuseppe Brindisi, venne trasmesso un frammento di due minuti del nostro documentario Invisibili, che ho prodotto insieme al regista Paolo Cassina per Playmastermovie.
Quel breve estratto, privo di contesto, selezionato ad arte, fu sufficiente per innescare un’aggressione mediatica senza precedenti. Brindisi e Bacco usarono quei pochi minuti come pretesto per liquidare il nostro lavoro come “una farsa”, “fantascienza”, “un prodotto dell’ala più estrema dei no-vax”.
Nessuna replica. Nessun contraddittorio. Nessuna verifica.
Le testimonianze delle persone danneggiate dal vaccino furono definite “presunte”, solo perché nei titoli di coda non comparivano i cognomi. Una scelta voluta e motivata: volevamo proteggerli in un momento in cui l’odio mediatico era feroce. Ma quella scelta è diventata un’arma contro di loro.
Brindisi ha ironizzato sulla musica, Bacco ha mentito pubblicamente sostenendo che lo avrei addirittura contattato per partecipare al documentario. Una falsità assoluta.
Nessuno ci ha contattati prima della messa in onda. Nessuno ci ha cercati dopo. Abbiamo inviato una richiesta formale di replica: nessuna risposta. Il nostro lavoro è stato insultato in diretta televisiva, senza alcuna possibilità di difesa.
Ma oggi, due anni dopo, la giustizia ci ascolta.
Insieme ai nostri avvocati Roberto Martina e Antonietta Veneziano, abbiamo presentato denuncia per diffamazione aggravata. Lo abbiamo fatto per tutelare la nostra reputazione, ma soprattutto per rispetto verso chi ha scelto di raccontare la propria storia in Invisibili. Storie vere, drammatiche, documentate. Storie che non meritano il silenzio o lo scherno.
La Procura aveva inizialmente chiesto l’archiviazione, derubricando tutto a “libertà di espressione”. Ma abbiamo opposto resistenza. Abbiamo detto no. Non era critica, era diffamazione mascherata da informazione.
E il giudice ci ha dato ragione: le espressioni usate non sono semplici opinioni. Sono dichiarazioni offensive, prive di rispetto, finalizzate a screditare. Un attacco mirato, non un confronto giornalistico.
Non è solo una nostra vittoria. È una vittoria di tutti.
Chi ha raccontato la propria sofferenza in Invisibili non lo ha fatto per visibilità. Lo ha fatto con coraggio, per lasciare una traccia, per chiedere ascolto. Ed è stato deriso.
Questa decisione del giudice è un primo segnale di riscatto. Dice che no, non tutto può essere detto senza conseguenze. Che la libertà di stampa non è licenza di offendere. Che il giornalismo, se vuole definirsi tale, ha il dovere del rispetto e della verifica.
Anche Alessandra Riggio e il marito Roberto Stracuzzi, protagonisti con la loro testimonianza nel documentario, hanno anch’essi presentato denuncia. I procedimenti saranno unificati: un processo ci sarà, e sarà il momento della verità.
Il minimo che potessimo fare era difenderli.
Quando ho fondato Playmastermovie, sapevo che l’informazione indipendente avrebbe attirato critiche. Fa parte del gioco. Ma quello che è accaduto in quella puntata di Zona Bianca non è stato un gioco. È stato un abuso di potere mediatico. Un attacco spietato, a senso unico, senza possibilità di replica.